Saturday, March 26, 2005

Alla fine è successo. Il macello è stato ucciso. Ironia del destino, finire ammazzato, per un luogo che porta la morte da sempre nel nome: dopo averne fatti tanti di macelli qua dentro, ora è stato lui ad essere fatto a pezzi.
Una volta tanto, però, il delitto non ha vittima. Perché nell’essere fatto a pezzi, il macello è stato finalmente liberato. E ora giace così, libero da uno scopo, libero dal dover essere qualcosa; e per questo libero di poter essere qualsiasi cosa. .
Dopo essere stato teatro dei macelli di tanti decenni, ora il macello è un palcoscenico. Popolato da comparse che non hanno un ruolo definito. E che per questo motivo i ruoli potrebbero recitarli tutti. Una miriade di comparse che ora hanno trovato il loro pubblico e il loro regista nello sguardo alieno dell’obiettivo fotografico. .
Già; l’occhio umano non è il loro spettatore. Non è il loro regista. Noi umani non siamo attori di questo palcoscenico: noi ne siamo indagatori. Il nostro sguardo è chiamato a investigare su questo strano delitto, che invece di porre fine, ha stabilito un nuovo inizio. Le fotografie che avete davanti agli occhi ne sono la testimonianza, e assieme l’alibi perfetto. Nessun cadavere, infatti, sazierà la terra con le sue carni decomposte. Il corpo è ancora lì. Sotto gli occhi di tutti. Identico a sempre. Allora cosa è stato ucciso, in realtà? .
Nulla, in realtà. È ciò che quel corpo incarnava ad essere stato fatto fuori. Il suo significato, la sua immagine. Insomma, è stato un delitto in effige. Un delitto perfetto. Perché nel suo essere tanto definitivo, in realtà non ha cambiato nulla. Il corpo del macello è sempre lì, uguale a prima. Soltanto, ha cambiato vita. È diventato una costruzione liberata. E le sue membra sono state fatte a pezzi solamente dallo sguardo non umano di una macchina fotografica..
***
Uno shooting in piena regola, quello che si è consumato sulla scena del macello. Per una curiosa coincidenza, infatti, shooting in inglese significa sia scattare fotografie sia sparare. Come a dire che l’arma perfetta, per un delitto in effige, in immagine, non poteva che essere proprio una macchina per produrre immagini. Una lente che permette all’occhio mentale del fotografo di vedere quello che senza saprebbe soltanto immaginare. Una protesi dello sguardo di chi ha il talento di commettere un omicidio ancora tutto da inventare. Un occhio che uccide; un occhio che, per vedere, ferisce il buio con una lama di luce. .
Una luce fredda, come il bisturi affilato di un abile chirurgo che sa esattamente dove tagliare. La luce che vediamo in una foto non scalda, non ha origine, non si irradia attraverso nulla. Questa luce non esiste. Perché nessun occhio, da solo, la vedrebbe così.
Eppure è proprio lei, che ci fa vedere. Disseziona gli oggetti, ne inventa i contorni, li mette a fuoco, li separa dallo sfondo. Moltiplica i punti di vista conducendo il nostro sguardo verso quei dettagli che prima vivevano solo come parti di un tutto, condannate ad essere semplici parti di quel tutto che soltanto era qualcosa. .
E invece ora che il tutto è stato ucciso, fatto a pezzi, sono proprio loro, i pezzi, che possono respirare liberi. E se la ridono, in disparte. Morbide linee arrotondate, inutili macchie di colore, goffe sbavature, grottesche incrostazioni: piccoli dettagli finalmente liberi di significare anche loro qualcosa.
Per questo, la vera fotografia è sempre la fotografia del paradosso. Perché fotografa il sogno di qualcosa che è sempre più di quel che è. .
La luce stampata sulla pellicola non viene dall’esterno: anzi, è la vibrazione di un neurone, di un’idea che si sta formando, dentro, nella testa del fotografo. Solo lui, infatti, ha in testa come le membra fatte a pezzi potrebbero ricomporsi nello sguardo dell’obiettivo. Solo lui sa come potrebbero essere; come potranno essere. Oppure come sono già state, pur senza che nessuno se ne sia mai accorto. D’altronde cosa è il futuro, se non il passato stesso, osservato da un punto di vista ribaltato?
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Fotografare, allora, è far vedere la possibilità futura di quello che tutti hanno sempre avuto sotto gli occhi, senza però mai riuscire a vederlo. Qualcosa di talmente ovvio, talmente parte del nostro quotidiano, che riesce sempre a sfuggirci. Per questo quando lo vediamo in foto, ci ritroviamo qualcosa di familiare. Senza sapere cosa sia, c’è sempre qualcosa che attrae la nostra attenzione. Ecco, allora: abbiamo trovato un indizio. .
E possiamo così avventurarci nell’indagine che porterà infine chiarezza in questo assurdo macello: macello di immagini, macello di colori, macello di ricordi, macello di visioni: un macello di storie, ancora tutte da raccontare.